Spettacolo itinerante
un progetto MigrArti 2017 – MiBACT :
Comune di Reggio Emilia CITTA’ MONDO
ideazione Monica Morini, Bernardino Bonzani, Annamaria Gozzi
con giovani narratori, di seconda generazione, migranti e rifugiati
Vincitore Premio per la Pace Giuseppe Dossetti
E’ che è scesa la notte e i Barbari non arrivano.
E della gente è venuta dalle frontiere dicendo
che non ci sono affatto Barbari…
K.Kavafis
Molto più di uno spettacolo, un’impresa che ispirandosi al mito antico degli Argonauti, accompagna il pubblico in una “città-mondo”. Un Argobus, moderna nave naviga attraverso i quartieri, approda nelle piazze, lungo le vie. Ogni tappa è occasione di incontro, ponte tra passato e presente. Un rito. 50 argonauti, la città intorno, alla ricerca del vello d’oro della dignità.
Partner Cooperativa Dimora d’Abramo, CGIL di Reggio Emilia, La Corte Ospitale, FederGAT, Europa Teatri, BPER banca
in collaborazione con Comitato Cittadini Via Roma e Parco Santa Maria, Ghirba biosteria della Gabella, Nessuno Escluso, Ecocreativo, La Polveriera, Centro Sociale Catomes Tot, Biblioteca Panizzi e decentrate, TIL, Coop Alleanza 3.0, Scuole e Nidi di Infanzia di Reggio Emilia
ideazione Monica Morini, Bernardino Bonzani, Annamaria Gozzi
ideazione e realizzazione grafica e scenica Michele Ferri
scenografie Franco Tanzi, Michele Ferri
musiche originali dal vivo Gaetano Nenna, Antonella Talamonti
Banda della Colchide Martina Di Falco, Marcello Iotti, Gaetano Nenna, Matteo Sassi
luci Lucia Manghi
riprese video Samuele Huynh Hong
video Alessandro Scillitani
con 50 argonauti di qui e d’altrove. Giovani di seconda
generazione, migranti, rifugiati, italiani
Ogochukwu Aninye, Aida Aicha Bodian, Barbara Bonomo, Elia Bonzani,
Bah Boubacar, Sara Bulgaro, Moussa Camara, Giulia Canali,
Giacomo Capucci, Umberto Capuano, Ezio Castagna, Omar Cham,
Bakare Chigne, Fatou Audrey Coly, Ousmane Coulibaly, Alessia Davoli,
Fabio Davoli, Djibril Cheickna Dembélé, Mamadou Diallo,
Babou Diarra, Lucia Donadio, Ezekiel Ebhodaghe,Francesco Garuti, Elisa Gherpelli,
Modou Gueye, Yasmin Vanessa Hanson, Margarita Jablonska,
Musam Jawo, Alassane Kourouma, Monson Kone, Amadu Mohammed,
Jules Souleymane Ndoye, Endurance Okho, Isabella Polisena,
Lamin Singhateh, Chiara Ticini, Diawoye Toure, Frencis Yeboah
“Gli uomini sono strade. Le strade percorse dagli uomini e dalle donne si fanno racconto orale che restituiscono poco alla volta pezzi di vite, sguardi, visioni.
La memoria rivelata e condivisa diviene eredità che genera futuro.
Dopo aver lavorato per più di due anni con i rifugiati ci siamo chiesti come affrontare un laboratorio teatrale che vedesse insieme, sullo stesso piano, giovani di seconda generazione, giovani immigrati e giovani italiani, non necessariamente attori o artisti.
Cosa ci rende uomini? Cosa ricordiamo per sapere chi siamo?
Il mito antico, le leggende di fondazione, conservano ancora tra i popoli quelle radici che ci accomunano come esseri umani. Il mito degli Argonauti contiene in sé tutti quegli elementi che ancora oggi possono dialogare allo stesso modo con i giovani, qualsiasi possa essere la loro provenienza.
Così alcuni frammenti del mito diventano domande o situazioni su cui si innesta il nostro lavoro di ricerca teatrale e di narrazione, come ad esempio il fiume impetuoso che deve attraversare Giasone portando Era sulle spalle diventa il mare che hanno attraversato i migranti ma anche le prove difficili che ogni giovane si trova ad affrontare sul proprio cammino di crescita.
La necessità e la sperimentazione ci hanno portato ad uscire sempre più dai teatri per andare incontro al pubblico, per riuscire a parlare a più persone possibili. Lo spettatore consapevole diventa protagonista sull’Argobus, prende parte all’impresa. L’approdo nei quartieri, nelle vie, nelle piazze richiama altro pubblico.
La musica, le storie, i corpi degli attori e il movimento compongono una drammaturgia che sorprende, richiama un altrove e al tempo stesso scoperchia il presente.
L’informazione ci satura, il teatro è esperienza che ci mette nei panni dell’altro. Argonauti è un’impresa, un rito itinerante che si insinua nei luoghi della città, dove qualcuno vuole che sia più forte il pregiudizio.
Cinquanta sono gli Argonauti, cinquanta i posti sull’autobus, eppure i protagonisti sono fuori e dentro l’autobus, sono in mezzo al bosco di Chirone, nel Parco del Popolo, sono in viaggio sull’Argonave, si incontrano in via Roma, in via Turri, alla Polveriera.
Questo rito si conclude in modo festoso e interpreti saranno i giovani, chi è nato in Italia, chi vi è cresciuto e chi è arrivato da poco.
Il Mediterraneo è un cucchiaio d’acqua, si racconta che Argo sia stata la prima nave che abbia attraversato e scheggiato quel mare. Il mare è acqua aperta non imbrigliabile da confini, il mare culla la legge antica dell’ospitalità. Gettiamo il nostro autobus in un mare che faccia incontrare le genti.
Nel viaggio la musica della parola, le orme diverse che abbiamo lasciato a terra, il numero dei passi che ognuno ha fatto per arrivare sino a qui. Il teatro è fatto di corpi vivi che si ascoltano e non dimenticano”.
(Monica Morini, Bernardino Bonzani, Annamaria Gozzi)
Cartolina e mappa Scaricabile 16 settembre: cartolinaARGONAUTI
Estratti rassegna stampa – Argonauti, Teatro dell’Orsa
Iniziative come Argonauti sono un segno tangibile, concreto, condiviso di un teatro che affronta le questioni spinose del presente e prova a dare risposte, quantomeno segnali, che hanno valenza non tanto e non solo comunitaria, ma anche artistica […] Nell’affollato e “mescolato” gruppo di giovani interpreti – già ipotesi concreta di una società che vorremmo: si parlano tutte le lingue, si lavora assieme.
Andrea Porcheddu, Gli Stati Generali, 18 settembre 2017
Ai dialetti africani si sommano, in un incrocio musicale impastato di contemporaneità, i nostri idiomi del Sud: i nuovi italiani con gli emiliani di seconda generazione in un gramelot caldo che profuma di vita e occhi. Una grande avventura, un’esperienza da vivere e sentire, toccare. Così, l’arcano viaggio degli “Argonauti” diviene, anche con segni facili, ben riconoscibili e semplici, metafora e simbologia degli sbarchi dei migranti, di chi cerca un luogo senza guerra, di chi insegue il suo “vello d’oro”.
Tommaso Chimenti, Recensito, 18 settembre 2017
Argonauti vanta una regia precisa e accurata nei minimi particolari, in grado di utilizzare al meglio gli spazi e di coinvolgere la cittadinanza prima, durante e dopo lo spettacolo. La base musicale ben asseconda lo svolgimento dello spettacolo, caratterizzando i vari momenti; così come i cori, accurati e precisi manifestano e traducono sentimenti ma rimandano anche alle voci e ai riti di culture lontane – eppure vicine.
Luciano Uggè, Artalks, 19 settembre 2017
E accanto allo straniero in cerca del vello d’oro, si affastella una serie di personaggi che spargono, come petali nel vento, i frammenti di racconti autentici – propri dei giovani protagonisti – e di rimandi al mito che, in un cortocircuito felice, si rispecchiano nell’esperienza comune, intessuta di bisogno di appartenenza, desiderio di rivalsa, oggettiva difficoltà a fare i conti con l’iniziazione alla vita.
Simona Frigerio, Persinsala, 18 settembre 2017
E’ un inizio folgorante e toccante, anche visivamente bello: il punto di vista, l’incorniciatura che le luci, il cedro, e lo spazio ad esso sottostante ha predisposto alla visione, si suddivide, si moltiplica in tanti punti, dal lato opposto della scena, tra la gente; punti che sono altrettanti gorghi d’attenzione.
Franco Acquaviva, Sipario, 21 settembre 2017
Ogni quadro ha avuto in sé un segno scenico in grado di indicare una possibile via di incontro tra il noto e l’ignoto, a dispetto della nostra ontologica paura del diverso, di cui rimane traccia nel nostro sistema attacco-fuga. Un’esperienza autentica di ciò che oggi può significare essere cittadini pensanti di un presente possibile.
Tania Bedogni, PAC, 23 settembre 2017
Una musica di indubbia ricercatezza e fascino per la quale va una menzione speciale al clarinettista Gaetano Nenna e ad Antonella Talamonti per la direzione vocale […] La festa continua con alcuni fuori programma, compresa un’esilarante “Romagna mia”.
Giulia Bassi, Gazzetta di Reggio, 18 settembre 2017